Tenerife nei giorni del Coronavirus 3
7 marzo
Il telefono vibra ininterrottamente, è la sveglia. Mi basta un attimo e sono già in piedi. Normalmente ho bisogno di 10 minuti di decompressione prima di riuscire a capire di essere sveglia, figuriamoci ad alzarmi dal letto, ma i giorni di partenza il timore di un eventuale intoppo che mi faccia arrivare in ritardo mi fa reagire subito. Continuo ad avere la sensazioni di essermi dimenticata qualcosa.
Sento le sveglie delle ragazze che suonano. Sorrido soddisfatta pensando a quanto siano responsabili e autonome.
Un salto in bagno, mi vesto, riordino il letto e corro giù per le scale per andare in cucina.
Preparo il caffè, prendo 2 fette biscottate e sgranocchiandone una mi siedo per il consueto controllo dei social. Le ricette che ho pubblicato negli ultimi giorni hanno avuto successo.
La sezione Pilates è invece ferma da un po’ di tempo, devo decidermi a pubblicare altri articoli. Prometto a me stessa di farlo al rientro da Tenerife. Nel frattempo si sono alzati tutti e passando dalla cucina hanno fatto la loro colazione. Lavo le tazze, riordino la cucina e salgo per gli ultimi preparativi.
Il bagno è super affollato, un via vai frenetico ai lavandini. Decido di andare per ultima, intanto chiudo valigia e trolley. Passo alle camere delle ragazze, i letti sono già fatti manca solo di chiudere il loro bagaglio. Brave le mie ragazze!
Vado in bagno, lavo i denti, crema viso, mascara e lipgloss. Pronta!
Ma sono certa che mi sto dimenticando qualcosa.
“Avete tutti la carta d’identità?” “Carica batterie?”….inizio un elenco di cose, ma in realtà sto cercando di capire cosa ho dimenticato io.
Scendiamo tutti, ognuno con il nostro bagaglio. Federico, mio cognato, è appena arrivato davanti casa. Sono le 7.30, siamo perfetti sulla tabella di marcia prestabilita.
Carichiamo la macchina, chiudiamo casa e partiamo. Direzione Milano Malpensa.
Il viaggio in macchina procede abbastanza silenzioso. Federico, che di solito è molto spiritoso, è assorto dai suoi pensieri. La paura di volare lo sta sopraffacendo.
“Ragazzi quando arriviamo all’aeroporto mettiamo tutti le mascherine” dico per distrarlo un po’.
“Stai scherzando?” replica Cristian. “Mamma io non la metto!” gli va subito dietro Alyssa. Inizia la mia battaglia, non cederò per nessun motivo. Sono attrezzatissima. Gel sanificante mani, salviette igienizzanti per le superfici con cui verremo in contatto, mascherine. Ho una missione: tenere al sicuro la mia famiglia. Non saranno i capricci di nessuno a fermarmi.
Lasciamo la macchina al parcheggio a pagamento e veniamo accompagnati all’areoporto. Appena scesi inizia la mia nuova routine. Distribuisco il gel sanificante sulle mani di tutti e consegno le mascherine.
Tra una lamentela e l’altra arriviamo al bar dell’aeroporto che ancora non tutti la indossiamo. Mi guardo intorno, il novanta per cento delle persone è senza mascherina. Mi sento paranoica, ma insisto nel farla indossare a tutti. Ci avviciniamo a un tavolo, di quelli alti per le colazioni in piedi, è distante dagli altri tavoli e dal bancone. Decido che è la scelta migliore.
Tiro fuori dallo zaino le mie salviette e inizio a igienizzarlo sotto gli occhi increduli di chi mi vede e la vergogna più totale delle mie figlie che vorrebbero farsi tanto piccole da scomparire. Stesso trattamento alle bottigliette dell’acqua che Cristian ha appena comprato. Beviamo un caffè e poi rinizia la mia battaglia.
Sono talmente insistente che alla fine anche Cristian e Alyssa mettono le mascherine. Sicuramente convinti per sfinimento, ma l’importante era raggiungere l’obiettivo.
Gel sanificante sulle mani di tutti, mascherina e procediamo.
Fatto il check-in ci dirigiamo al gate. Un gruppo di cicloamatori ride e scherza con quello spirito che caratterizza chi sta andando a fare la vacanza che ha tanto desiderato. Bersaglio degli scherzi una ragazza dai capelli rossi, che ride ad ogni battuta stando al gioco.
Dopo la procedura per l’imbarco ci ritroviamo tutti ammassati davanti alla porta che dovrebbe portarci all’aereo. Le poche persone con la mascherina come noi, si lamentano per l’inconveniente. Una nonna dai capelli bianchi, in viaggio con la figlia e la nipotina si lamenta con il personale di terra. “Che senso ha prendere precauzioni se poi ci fate stare tutti ammassati e non possiamo mantenere le distanze?”.
Le viene spiegato che personale di bordo è in ritardo e che quindi non ci possono far salire sull’aereo. La signora continua a lamentarsi per un po’ ma senza ottenere risultati.
Dopo minuti di attesa che sembrano eterni, le porte si aprono e possiamo salire. Arrivati al posto assegnatoci decidiamo di togliere le mascherine. Prima di partire in televisione dicevano di mantenere un metro di distanza tra le persone, più o meno dovrebbe esserci tra un sedile e l’altro.
Un giro di gel sanificante per tutti, tanto per scrupolo.
Inizia il decollo e per Federico la tortura, per me invece il sonnifero. Fin da bambina ogni mezzo di trasporto per me è soporifero. Macchina, treno, aereo, nave, indifferentemente io dormo.
Il mio sonno viene interrotto spesso, troppo spesso, dai cicloamatori a cui sono stati assegnati posti non vicini e per tutte le quattro ore e mezzo di viaggio si alzano in continuazione per scherzare e chiacchierare tra loro a voce alta, un po’ troppo alta.
Continuo a pensare al metro di distanza e queste persone che fanno avanti e indietro vanificano il mio sforzo nel far indossare le mascherine. “Speriamo non siano di Milano e dintorni” penso.
Il tempo in aereo viene scandito dalle routine del personale. Prima c’è la spiegazione delle procedure in caso di emergenza, poi il carrello con il pasto, una mezz’ora dopo il carrello per offrire il caffè e infine il ritiro del pattume.
“Allacciate le cinture di sicurezza, la procedura di atterraggio sta per iniziare “. Ci siamo, Tenerife è sotto di noi.
What do you think?